Iuventa: Salvare vite in mare è atto politico e sociale

Intervista al capitano della Iuventa Dariush Beigui
11.04.2021 17:41 di  Alessandro Gulberti   vedi letture
Dariush Beigui al Millerntor
Dariush Beigui al Millerntor
© foto di Brigate Garibaldi e.V.

Le sette di sera di un sabato piovigginoso a Sankt Pauli. Dariush, con cui abbiamo appuntamento davanti ad un noto luogo d'incontro dei Redskin e delle Brigate Garibaldi, arriva con un paio di minuti d’anticipo e dopo una breve introduzione si comincia subito a chiacchierare. È piuttosto stanco, appena tornato da un corso di formazione, ma ci tiene a testimoniare della situazione che stanno passando lui ed altri volontari della nave di soccorso Iuventa, di cui è stato capitano nel 2017, accusati in Italia di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Di professione è capitano portuale ad Amburgo dove è nato 43 anni fa, e negli ultimi anni ha partecipato a numerose missioni umanitarie nel Mediterraneo. È inoltre fondatore e componente di una Oi! band di Amburgo molto nota ai tifosi del Sankt Pauli. Tra il 2016 e il 2017 i volontari della nave Iuventa hanno soccorso nel Mediterraneo più di 14.000 persone, perlopiù migranti in fuga dalla Libia, ora come allora teatro di guerre intestine. La Iuventa appartiene alla ONG di Berlino “Jugend Rettet” ovvero “la gioventù salva” ed è stata posta sotto sequestro dalla procura di Trapani il 2 agosto 2017. Secondo l’accusa, nel corso di alcuni interventi di soccorso ci sarebbero stati dei contatti sospetti con supposti trafficanti di esseri umani. Oltre all’equipaggio della Iuventa, anche alcuni membri di Medici Senza Frontiere (associazione sostenuta anche dalla serie A e dalla Figc) e di Save The Children (partner storico della Fiorentina) sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in concorso e rischiano fino a 20 anni di carcere.

- Dariush, siamo un'agenzia di stampa di Sankt Pauli ed informiamo soprattutto i tifosi italiani riguardo l’FC Sankt Pauli e la sua gente. Lavori a Sankt Pauli e vivi a Sankt Pauli, che legame hai con l'FC Sankt Pauli?

Conosco e frequento molte persone tifose del Sankt Pauli. Mi sono trasferito a Sankt Pauli nel ’99 e nello stesso anno sono stato a vedere una partita del Sankt Pauli al Millerntor contro il Chemnitz e poi il ritorno in trasferta contro lo stesso Chemnitz.

- Di professione sei capitano portuale ad Amburgo, come è nata la tua passione per la navigazione?

Nel ’98 mi sono informato sulle possibilità di formazione professionali ad Amburgo e tra le proposte che mi parevano più divertenti c’era appunto quella di capitano portuale.

- Per caso dunque…

Assolutamente

- E come si svolge la tua attività quotidiana al porto?

Attualmente lavoro per una ditta di rifornimento navale e guido navi di stazza piuttosto ridotta per il trasporto di carburante.

- Ho letto che negli ultimi anni hai utilizzato tutte le ferie a tua disposizione per le missioni di soccorso nel mar Mediterraneo, prima dello stop suggerito dai vostri avvocati a causa delle indagini in corso in Italia.

Sì, dal 2016 fino al 2018 ho trascorso tutte le mie ferie nel Mediterraneo, poi sono arrivate le indagini e da allora sono stato attivo ad esempio sulla Mare Liberum (una nave che si occupa di monitorare le violazioni dei diritti umani nel tratto di mare che separa l’isola di Lesbo dalla Turchia, attraversato costantemente da persone in fuga verso l’Europa, e respinte da parte delle autorità prima che possano toccare terra e richiedere asilo, ndr). La Mare Liberum non fa azioni di salvataggio e quindi per gli avocati poteva andare bene. Inoltre da allora ho trascorso le mie vacanze principalmente tenendo conferenze e partecipando a dibattiti sull’argomento.

- Immagino che sia stata una decisione consapevole per te passare alle conferenze ed ai dibattiti non potendo più navigare.

Quando abbiamo appreso delle indagini, abbiamo deciso piuttosto velocemente che se vogliono farci un processo, allora avremmo utilizzato questo palco mediatico per attirare il più possibile l’attenzione sull’argomento e per denunciare attivamente i misfatti.

- Facendo un passo indietro: come sei diventato il capitano della Iuventa? Quale è stata la tua motivazione di passare da capitano portuale ad Amburgo al soccorso di migranti nel mar Mediterraneo?

Ci sono stati due eventi decisivi: per prima cosa la nave Sea-Watch (ora Mare Liberum, ndr) è stata modificata qui ad Amburgo ed i media locali ne hanno parlato fin da subito. Con l’ONG Jugend Rettet ovvero con la Iuventa sono entrato in contatto indirettamente tramite l’attività di volontariato sull’isola di Lesbo. Nel luglio del 2016 trascorsi 4 settimane sull’isola con l’associazione “No Border Kitchen” di Amburgo che tutt’oggi distribuisce cibo gratuitamente ai migranti costretti a vivere in condizioni terribili. Una ragazza, anche lei volontaria sull’isola, era compagna di classe di uno dei fondatori della ONG Jugend Rettet e mi disse che avrebbe chiesto se avessero bisogno di persone come me. Così a settembre ho fatto domanda alla Jugend Rettet e a novembre dello stesso anno sono salpato con la Iuventa, ma non da capitano.

- Con che ruolo hai cominciato dunque sulla Iuventa?

Avrei potuto salpare già prima di novembre con la Iuventa: mi avevano chiesto se avessi potuto partire già con la missione precedente e fare il capitano. L’avrei fatto se mi fossi potuto liberare prima, ma, a posteriori direi fortunatamente, non ho potuto: navigare nel Mediterraneo è infatti ben diverso che navigare qui nel porto di Amburgo… Così ho cominciato come secondo timoniere, anche se è difficile definire i ranghi in una ONG: l’equipaggio è composto da tre, quattro persone sul ponte di comando: una è il capitano le altre sono ufficiali in seconda o secondi timonieri, a seconda di come ci si voglia definire. Si danno il cambio sul ponte e lo stesso accade nella sala motori. Poi c’è un team medico… In totale sulla Iuventa eravamo circa 12-14 persone.

- Da dove sei salpato?

Da Malta. Per parecchi anni il porto di partenza di quasi tutte le ONG attive nel Mediterraneo centrale è stato Malta. Il 5 o 6 novembre 2016 sono volato a Malta, sono salito a bordo, mi hanno istruito, abbiamo fatto un paio di giorni di esercitazioni nel porto poi siamo salpati.

- Le navi delle ONG erano navi maltesi?

No, per lo più erano navi olandesi.

- Anche la Iuventa batte bandiera Olandese, giusto?

Esattamente. Vedo che volete sapere tutto molto nei dettagli! Dunque, ci sono due tipi di ONG che erano e sono attive nel Mediterraneo: le piccole ONG come quelle della Sea-Eye, della Sea-Watch e della Lifeline che si sono comprate delle piccole navi che gestiscono da sole fornendo l’equipaggio completo. Poi ci sono le ONG più grandi, come Save The Children e Medici Senza Frontiere, che invece noleggiano le navi con l’equipaggio per la navigazione, mentre il resto dell’equipaggio sono dipendenti e volontari delle ONG come ad esempio il personale medico. Questo è un punto importante per la vicenda giudiziaria in corso.

- Al momento circolano su internet e sui media italiani immagini e video delle operazioni di soccorso della Iuventa, che vorrebbero dimostrare che avete salvato persone che in realtà non avevano bisogno di soccorsi ed in cooperazione con supposti scafisti. Inoltre circolano registrazioni fatte dalla polizia italiana a bordo della Iuventa dove si sente dire che si deve evitare di fornire immagini con persone che possano essere identificare per le indagini. Come commentate tali video e notizie?

Le risposte sono piuttosto semplici: la critica che tali barche non siano in pericolo di naufragio è assurda, nessuna o quasi nessuna di quelle barche potrebbe navigare e raggiungere in sicurezza qualsivoglia costa. Ai trafficanti che costringono le persone a salire a bordo di quelle barche non interessa che le persone arrivino vive a destinazione, vogliono solamente guadagnare danaro. Nel momento che lasciano la spiaggia a loro non interessa più se quelle persone sopravvivono 5 minuti o tre giorni, semplicemente se ne sbattono. Le barche non hanno abbastanza carburante a bordo… c’è una direttiva inufficiale o semi-ufficiale di Frontex (agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ndr) per definire le barche in pericolo di naufragio. Non esiste però un articolo sancito dalla legge che ne definisca lo stato di pericolo…

- È quindi una direttiva di Frontex o legislativa?

Di Frontex. Quando sono state scritte le leggi per il soccorso in mare nessuno si poteva immaginare che qualcuno potesse metter in dubbio il lancio di un allarme di pericolo di naufragio e consideralo fatto in assenza di ovvie circostanze di pericolo. L’idea che qualcuno potesse mettere in discussione la pericolosità della situazione in mare non esisteva fino a cinque anni fa. Frontex ha quindi stilato una lista di situazioni nelle quali una barca possa essere considerata in pericolo, ma non è una legge, è una direttiva: ad esempio quando non c’è carburante a sufficienza a bordo per raggiungere un porto sicuro, quando non c’è abbastanza cibo a bordo, nel caso di sovraffollamento, quando ci sono feriti o donne incinte e bambini. Tutte le barche da noi soccorse erano in queste condizioni, tutte. Certo abbiamo anche trovato persone che erano riuscite a sopravvivere due o tre giorni su queste barche, ma non è assolutamente un’opzione l’aspettare finché la situazione sui barconi diventi così precaria da poter finalmente soddisfare le condizioni di pericolo di naufragio.

- Infatti siamo convinti che dopo giorni senza cibo ed acqua in mezzo al mare su di un barcone sovraffollato anche con bambini, magari sotto il solleone, in condizioni igenico-sanitarie disastrose, tutto ciò sia una ragione più che sufficiente per dichiarare tali barche in pericolo… ma la Libia non è un porto sicuro, come testimonia anche il direttore di tuttostpauli che in Libia vi è stato.

Infatti in passato non si è mai dubitato del fatto che una nave in queste condizioni potesse non essere in pericolo. Questo è un punto importante. Nei media Italiani si cerca ora di presentare i barconi in queste condizioni come mezzi che possano navigare da soli da qualche parte, ma non potrebbero arrivare da nessuna parte. L’unico posto dove magari potrebbero arrivare sarebbe un porto libico, ma la Libia non è un porto sicuro e non appena le barche si trovano in acque internazionali è vietato riportarle verso la Libia. Ciò sarebbe in contrasto con la convenzione di Ginevra, le convenzioni delle Nazioni Unite, con le leggi dell’Unione Europea. E che l’Unione Europea abbia finanziato, fornito di mezzi ed istruito la guardia costiera libica per catturare e riportare migliaia di profughi di nuovo in Libia, questo è viceversa un crimine, a mio parere.

L’altro punto sono le registrazioni della polizia. Le conosco anche se non so più chi avesse parlato nell’occasione, le voci sono infatti distorte. Personalmente sostengo questa metodologia (di evitare di fornire immagini con persone che possano essere identificare per le indagini della polizia, ndr) perché in Italia e in Grecia solitamente per ogni barca che viene salvata, due persone che erano a bordo finiscono in tribunale. Arrestano semplicemente chi si trovava alla guida ed alla bussola e lo portano alla sbarra come scafista, cosa che è completamente assurda perché i trafficanti non salgono certamente su quelle barche, che sono praticamente una condanna a morte. Alla guida vengono costretti quelli che non hanno pagato abbastanza, quelli a cui così viene permesso di portare anche il proprio figlio o figlia; o semplicemente viene messo alla guida il primo che si dichiara capace di manovrare il barcone. Queste sono le persone che finiscono davanti al tribunale in Italia. In Grecia la situazione è ancora più estrema: una NGO che segue tali processi in Grecia riporta che mediamente essi durano 27 minuti, le persone vengono condannate a 49 anni di prigionia e ad una multa di 400.000 euro (fonte: bordermonitoring.eu, ndr). In Italia le pene non sono così alte ma ci sono comunque migliaia di rifugiati in galera, i cosiddetti scafisti, che vengono condannati solo per imbellire le statistiche del tipo “vedete che facciamo qualcosa contro gli scafisti?” ma questo non è combattere contro i trafficanti, non cambia niente, è semplicemente incarcerare persone innocenti e io non voglio supportare queste metodologie. Personalmente non ho mai fatto foto e non mi è stato mai chiesto di fornirle, ma assecondo questo approccio di proteggere persone innocenti dall’essere imprigionate, non importa se in Europa o da altre parti.

- Ci puoi descrivere come si svolgevano le vostre azioni di soccorso?

L’MRCC ovvero il Maritime Rescue Coordination Center italiano (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, ndr) ha il compito di coordinare le operazioni di soccorso in mare nell'area marittima di competenza Italiana, ma dopo il disfacimento della Libia si è fatto carico del coordinamento del soccorso in mare anche nell’area marittima di competenza libica. Quindi ogni azione di soccorso nel Mediterraneo centrale veniva autorizzata e coordinata dall’MRCC di Roma. Ciò significa che ogni volta che noi abbiamo avvistato una barca in pericolo l’abbiamo subito segnalata all’MRCC di Roma per la coordinazione dell’azione di soccorso. Se la barca stava per affondare o se c’erano persone in mare siamo subito intervenuti ed abbiamo imbarcato le persone sulla Iuventa. A volte, se la Iuventa aveva raggiunto la sua capacità massima, dovevamo occuparci delle persone direttamente sull’acqua, distribuendo giubbotti di salvataggio, mettendo in acqua delle zattere con forniture mediche, ecc. Spesso non avevamo altra scelta che curare le persone su di esse ed attendere che nel giro di mezz’ora o magari di due ore una nave più grossa venisse in soccorso seguendo le istruzioni dell’MRCC di Roma.

Questo perché la Iuventa non è stata concepita per il trasporto di persone verso l’Italia. Non abbiamo mai trasportato persone sulla terraferma, abbiamo preso persone a bordo solo temporaneamente, io al massimo per 36 ore, poi le abbiamo trasbordate su navi della guardia costiera, di altre ONG o su navi commerciali. L’MRCC è autorizzato a chiamare le navi nei pressi e a deviarle verso il luogo del naufragio. Personalmente ho partecipato a tre missioni sulla Iuventa e ad una sulla Sea-Watch e in media di dieci azioni di salvataggio intraprese, 8 di esse ci sono state comunicate dall’MRCC. Quindi l’argomentazione che abbiamo salvato persone che non erano in pericolo è assurda perché perlopiù sono state le autorità italiane tramite l’MRCC di Roma ad indirizzarci verso le barche in pericolo, noi abbiamo semplicemente seguito le indicazioni di soccorso coordinate dall’MRCC di Roma.

- Quindi la maggior parte delle volte è stato l’MRCC di Roma a chiamarvi?

Sì esattamente, la maggior parte delle volte ci hanno chiamato loro, ci hanno chiesto di soccorrere le barche e dato le coordinate dove cercarle. In qualsiasi caso non avevamo mai trasportato persone fino all’Italia. Ad un certo punto all’inizio di maggio 2017 abbiamo soccorso tre piccole barche di legno con circa un centinaio di persone ed abbiamo ricevuto dall’MRCC di Roma la posizione di un’altra nave di una ONG a cui avremmo potuto affidare le persone per il trasporto verso l’Italia. Sull’altra nave cerano abbastanza posti per traportare in Italia tutte le persone che avevamo soccorso ed abbiamo cominciato il loro trasferimento. Ad un certo punto l’MRCC di Roma ci ha comunicato di smettere di trasbordare e di portare noi stessi le ultime 25 persone rimaste a bordo fino a Lampedusa. Abbiamo risposto che non potevamo. Fin dall’inizio avevamo chiarito che la nostra ONG non avrebbe trasportato persone fino ad un porto sicuro ma che solo le avrebbe soccorse e trasbordate. Tutte le ONG comunicano all’MRCC quanto sono grandi le loro navi e quante persone possono trasportare e fino a dove. La Iuventa non è stata progettata per lunghi viaggi con molte persone per il trasporto fino a terra. Abbiamo solo un servizio sanitario, non abbiamo possibilità di cucinare, non abbiamo posti riparati dal vento e dalle onde, possiamo traportare le persone per un paio di ore ma non per centosessanta miglia (trecento chilometri) fino a Lampedusa. La Iuventa per di più è molto lenta, così abbiamo comunicato che avremmo preferito trasbordare tutte le persone ma l’MRCC di Roma ci ha risposto che non potevamo. Ci hanno scritto una mail perentoria in lettere maiuscole intimandoci di navigare immediatamente verso Lampedusa, sembravano molto arrabbiati. Ad un certo punto nel mezzo della notte ci hanno chiamati e ci hanno detto che avremmo potuto trasbordare 20 delle 25 persone sull’altra nave ma che assolutamente avremmo dovuto portare noi le ultime 5 persone rimaste fino a Lampedusa. Noi siamo rimasti molto perplessi ma non abbiamo protestato ulteriormente perché pensavamo che se non avessimo trasportato quelle 5 persone, ci avrebbero detto che avremmo fatto meglio a rimanere direttamente nel porto, visto che non eravamo in grado di traportare nemmeno 5 persone. Fino ad allora non avevamo mai contraddetto le indicazioni dell’MRCC, avevamo brontolato con loro e loro con noi come puoi magari brontolare con i tuoi insegnanti, ma avevamo sempre cooperato bene. Anzi siamo stati sempre i benvenuti, all’inizio le ONG sono state le benvenute per la guardia costiera. Persone che hanno partecipato alle prime missioni hanno raccontato che la guardia costiera è salita a bordo delle navi ed ha espresso ammirazione per quello che riuscivano a fare con quelle piccole navi.

- Quindi all’inizio avete ricevuto complimenti dalla guardia costiera Italiana?

All’inizio erano entusiasti e felici della nostra presenza e del nostro lavoro. Comunque a malincuore abbiamo navigato verso nord fino a Lampedusa con le cinque persone a bordo perché non avevamo motivo di diffidare dell’MRCC. Mentre eravamo in viaggio, altre navi di ONG ci contattarono perché avevano bisogno del nostro aiuto perché avevano 8 barche da soccorrere e non ce l’avrebbero fatta da sole. Abbiamo quindi chiamato l’MRCC e abbiamo comunicato la situazione e chiesto il permesso d’intervenire, ed anche le altre ONG hanno confermato all’MRCC che avrebbero avuto bisogno del sostegno della Iuventa. Ma l’MRCC ci rispose che la priorità era di portare quelle 5 persone fuori dalle acque internazionali fino a Lampedusa e ci assicurarono che la situazione nell'area operativa fosse sotto controllo, che ci fossero abbastanza navi in zona e che la Iuventa non fosse quindi necessaria. Quelle erano tutte menzogne! In quei giorni molte persone hanno perso la vita o sono tornate alla deriva in acque libiche. Lo abbiamo fatto perché non avevamo nessun motivo per non fidarci dell’MRCC e abbiamo quindi proseguito la navigazione per un giorno e mezzo fino a Lampedusa. Arrivati abbiamo fatto sbarcare le 5 persone soccorse ed alcuni del nostro equipaggio sono stati interrogati per ore, credo in totale per sei ore, poi siamo tornati a bordo e abbiamo avuto il permesso di salpare di nuovo.

- E a Lampedusa l’atmosfera era tranquilla, pacifica diciamo?

Beh, c’è stata l’interrogatorio della polizia, ma la cosa non sembrava particolarmente strana: le cinque persone soccorse sono state fatte sbarcare, tre quattro persone sono state interrogate e poi siamo ripartiti.

- Quindi non si sono complimentati come in precedenza?

No, quel periodo era già passato da un pezzo, ci hanno fatto ripartire senza troppi commenti.

- Pare quindi che il piano per intercettarvi sia stato attuato in quel momento…

Esattamente, dopo tre giorni siamo di nuovo arrivati laggiù (in zona di ricerca e soccorso, ndr). Nel frattempo, credo fosse un fine settimana, ci furono 21 barche in pericolo, di cui cinque scomparse, si trattava di 3 gommoni e 2 barche di legno. In quel fine settimana che abbiamo impiegato per ritornare nella zona di ricerca e soccorso quasi sicuramente sono affogate tante persone, forse centinaia. Quando 3 mesi dopo la Iuventa è stata sequestrata ed abbiamo avuto accessi agli atti, abbiamo scoperto che le autorità e la guardia costiera italiana hanno allontanato una nave in missione dalla zona di ricerca e soccorso dove poi sono morte molte persone, solo per poter nascondere delle microspie sulla nave. Questo è il valore che le persone laggiù in mare hanno per l’Europa: è meglio indagare contro un paio di “zecche” piuttosto che salvare delle vite umane.

- La Libia non è un territorio sicuro, queste persone provenivano da una zona di guerra, sono persone che dovevano essere soccorse, indipendentemente dalle condizioni del mare e delle loro barche. Cosa ti ha mosso al soccorso di queste persone, all’aiuto umanitario?

La mia motivazione non è stata primariamente umanitaria, io non ho scelto di andare laggiù perché sono un umanitario, ma perché sono un attivista politico. Il capitalismo costringe le persone a fuggire dai propri paesi, il capitalismo e l’Europa costringono queste persone a salire sulle barche e l’unica cosa che io posso fare è cercare di evitare che queste persone affoghino. Fintanto che non posso abolire il capitalismo questa è il mio aiuto concreto per aiutare le persone colpite dal capitalismo. Spesso nei media conservatori italiani e tedeschi si parla del “pull factor”, ovvero che per il semplice fatto che navighiamo davanti alla costa libica con le nostre barche, le persone si metterebbero su mezzi di fortuna per raggiungerci e raggiungere l’Europa, come se tutte le persone in Libia stessero sedute sulla costa e aspettassero di scappare. Le persone vengono da molto più lontano, partono dal Gambia, dal Pakistan, dal Bangladesh perché l’Europa spreme e dissangua i territori di tutto il mondo. Che siano persone che vengono sfruttate in Asia per i prodotti d’abbigliamento, o persone che in Africa vengano sfruttate per estrarre minerali o metalli preziosi con salari da schiavi, o nelle piantagioni di cacao, è il nostro stile di vita che porta queste persone alla fuga. Anche chi vorrebbe essere corretto e giusto costringe queste persone a fuggire perché ognuno di noi utilizza cellulari, plastica, vestiti a basso prezzo, ci compriamo una tavoletta di cioccolata per un euro. Tutti questi comportamenti quotidiani, anche se non abbiamo intenzioni cattive, costringono le persone di tutto il mondo a fuggire lungo percorsi sempre differenti. Negl’ultimi cinque anni, dopo la caduta di Gheddafi, la via di fuga preferita passa per la Libia. In passato hanno utilizzato altre vie di fuga, in futuro ne utilizzeranno altre. Non si possono fermare le persone dallo scappare perché se non scappassero morirebbero, perché non è più possibile vivere nei loro posti d’origine e quindi vengono in Europa. Per questo affermo di essermi attivato contro questa politica Europea.

- Quindi sostanzialmente la tua è una motivazione contro la politica Europea?

Anche lasciando per il momento da parte di chi sia la colpa per la situazione in Nordafrica ed in Libia, il fatto inconfutabile è che ci sono persone in Libia che vivono nei lager in condizioni così disperate da essere disposte ad imbarcarsi su di un mezzo insicuro senza garanzia di sopravvivere i prossimi due giorni, piuttosto che rimanere un giorno in più nei lager. Quindi si ritrovano su un’imbarcazione inadeguata alla navigazione, che dopo due-tre giorni potrebbe capovolgersi e rischiano di affogare. A questo punto arriva qualcun altro e salva queste persone. Indipendentemente se si collabori con altre persone oppure no, si cerca di evitare che queste persone affoghino. Il motivo per cui queste persone si imbarcano su tali mezzi è perché non sopportano più la situazione nei lager. Indipendentemente di chi sia la colpa per cui queste persone si siano trovate nei lager, le persone che aiutano ed evitano che questi migranti affoghino vengono criminalizzate mentre le persone che sono colpevoli che i migranti siano costretti a salire su queste barche non vengono criminalizzate e perseguitate.

- Qual è la tua visione per il futuro della nostra società europea e cosa dovrà cambiare per quanto riguarda la questione dei rifugiati?

Sarebbe auspicabile che l’Europa si interessasse del destino di queste persone. È triste che una gran parte dell'opinione pubblica non si interessi che ogni giorno persone muoiano affogate nel Mediterraneo. In questo momento ci si interessa invece del fatto che noi della Iuventa potremmo aver collaborato con i trafficanti. A parte che il fatto non sussiste, l’interesse si concentra sulla nostra possibile collaborazione con dei trafficanti, sebbene al centro dell’interesse dovrebbe esserci che abbiamo tratto in salvo delle persone che scappavano dai lager, nei quali addirittura una commissione di inchiesta tedesca ha dichiarato ci fossero condizioni simili come nei campi di concentramento, comparazione che trovo problematica, ma dove sicuramente le persone vengono torturate, seviziate, violentate, tenute come schiavi. Trovo assurdo che si incolpi qualcuno di aver collaborato con qualcun altro per quanto bastardo (anche per questo sicuramente non ci abbiamo collaborato!) per salvare delle persone da dei lager. Purtroppo questo è ora il tema d’interesse principale: “hanno le ONG collaborato con i trafficanti?”, oppure: “degli europei sono citati in tribunale in Italia!”. Che migliaia di migranti e rifugiati siano detenuti in campi profughi in condizioni miserabili non interessa più, che ogni giorno persone affoghino nel Mediterraneo non interessa più. Tutti i giorni invece si dovrebbero leggere notizie di persone morte affogate nel Mediterraneo, in media ogni giorno tre vittime. Ad esempio nel campo profughi di Karatepe in Grecia da sei mesi 10.000 persone non hanno la possibilità di fare una doccia, in parte non c’è la corrente, non ci sono beni di prima necessità. Perché le persone non protestano tutti i giorni indignate per questi fatti? Da una parte è certamente una grossa richiesta quella di abolire il capitalismo, di cambiare il nostro stile di vita in modo che le persone non siano più costrette a fuggire, questa è una richiesta enorme; dall’altra parte auspico per lo meno di provare emopatia per delle persone che si trovano in fuga, che affogano, che soffrono fame, paure e malattie in campi profughi europei.

Ma come si può destare empatia? Questo alla fine è quello che stiamo cercando di fare del processo. Siamo stati accusati, se ci vogliono processare allora noi cercheremo di utilizzare l’interesse mediatico intorno al processo per informare l’opinione pubblica di cosa secondo noi non sta andando nella direzione giusta.

Nota dalla redazione: Alla fine della stesura di questa intervista ci sono giunte notizie di gravi violazioni dei diritti e della libertà di stampa da parte della polizia italiana che per la stesura degli atti di accusa contro le ONG Iuventa, Medici Senza Frontiere e Save The Children avrebbe spiato e trascritto conversazioni telefoniche e spostamenti di diversi giornalisti ed avvocati coinvolti in reportage sul campo riguardanti il soccorso umanitario in mare, i lager libici e le bande di trafficanti umani in Libia, mettendo così a repentaglio l’incolumità dei giornalisti stessi e delle loro fonti. Ancora una prova che per le autorità italiane la priorità è fermare le ONG che soccorrono i naufraghi ed i giornalisti che informano sulle condizioni dei migranti in Libia piuttosto che fermare le stragi nel Mediterraneo e che per raggiungere questo scopo sono pronti ad usare anche metodi di dubbia legalità e di certa pericolosità per i giornalisti, le loro fonti e la libertà d’informazione.

Di seguito il link per sostenere il caso della Iuventa: https://iuventa10.org/

Per donazioni:

IBAN: DE97 4306 0967 4005 7941 04

BIC: GENODEM1GLS

Bank: GLS Bank

Account Holder: Borderline Europe e.V.

Reference: Fight For Solidarity